FAQ
La malattia inguaribile è uno stato clinico che non ha, in questo momento, mezzi conosciuti scientificamente (come terapie farmacologiche, chirurgiche o altri interventi) per poter modificare positivamente lo stato o l’evoluzione della patologia stessa.
Per chiarire meglio quali siano le malattie inguaribile possiamo esemplificarle in 4 categorie:
- tutte quelle patologie con trattamenti farmacologici in atto ma che potrebbero fallire o con prognosi incerta (per esempio tumori, insufficienza d’organo irreversibile);
- tutte quelle patologie con lunghi periodi di trattamento intensivo mirato a prolungare la sopravvivenza ma dove la morte prematura è ancora possibile (per esempio fibrosi cistica);
- tutte quelle patologie degenerative neurologiche e metaboliche, patologie cromosomiche e geniche, (per esempio trisomia 13, 18, atrofia muscolare spinale (SMA), distrofia muscolare, sindrome di Ondine);
- tutte quelle patologie irreversibili che causano disabilità severa e morte prematura (per esempio paralisi cerebrale severa, disabilità per danni cerebrali e/o midollari, elevata prematurità).
No, il minore con malattia inguaribile può e deve essere curato lungo tutto il suo percorso di vita, anche sino agli ultimi momenti. Il senso di essere sempre curabile passa attraverso il senso stretto di "prendersi cura" (take care) della persona nella sua totalità di individuo sofferente.
La parola inglese “care” significa “cura”, ma in un senso più ampio: “I care for you” significa anche “mi occupo di te” e “tu sei importante per me”.
La malattia inguaribile non presuppone che vi sia una terminalità. “Inguaribile” e “terminale” non sono due concetti sovrapponibili. Nello specifico: “Terminale” è l’aggettivo riferito ad un paziente affetto da una patologia progressiva, ad esito invariabilmente infausto, non più responsivo alle terapie specifiche; “Inguaribile” è l’aggettivo riferito ad un paziente per il quale l’obiettivo terapeutico è il miglioramento della qualità della vita, con sollievo dei sintomi ed il soddisfacimento delle aspettative e dei bisogni dell’ammalato e dei suoi famigliari.
La previsione di sopravvivenza non è mai facile in nessun contesto assistenziale. Particolarmente problematico è definire, nella traiettoria della malattia, “quando ci troviamo all’inizio o alla fine” di una fase di stabilità o di instabilità, di peggioramento, di terminalità.
È la percezione soggettiva della nostra posizione nella vita, nel contesto della cultura e dell’insieme di valori insiti nella società in cui viviamo, anche in relazione agli obiettivi, aspettative e preoccupazioni che abbiamo in quanto individui. Per esempio, un ragazzo con patologia inguaribile potrebbe sentire di avere una buona qualità di vita perché messo nella possibilità di continuare a frequentare la scuola e la propria cerchia di amici. Per un altro la qualità di vita potrebbe dipendere dal fatto di essere a casa propria, con la possibilità di curarsi a casa, circondato dai propri cari e non in ospedale.
La soddisfazione dei bisogni individuali (fisici, psicologici, relazionali, e sociali) concorre alla determinazione del livello di qualità di vita percepito.
I diritti a cui può e deve accedere un ragazzo affetto da patologia inguaribile sono molti e sono strettamente correlati ai doveri di chi è affianco a lui, sia egli familiare, amico o sanitario.
Per esempio:
- ha diritto ad essere informato, se lo vuole, sulla propria situazione clinica anche se di aggravamento o terminale
- ha diritto ad essere coinvolto nelle decisioni che riguardano il suo quadro clinico e la sua qualità di vita
- ha diritto a poter accedere ad un supporto personale che sia psicologico, spirituale o religioso
- ha diritto ad esprimersi in libertà
- ha diritto a non provare dolore
- ha diritto ad avere piena possibilità di gioco
- ha diritto al contatto e alla socialità
- ha diritto allo studio e alla partecipazione alla vita scolastica
- ha diritto ad essere trattato con tatto e comprensione
- ha diritto ad andare a scuola se le condizioni lo permettono
- ha diritto al rispetto della propria intimità
- ha diritto alla propria sessualità
- ha diritto alla possibilità di accedere alle cure palliative pediatriche
- ha diritto a ricevere le cure nel luogo che ritiene più opportuno per se stesso
- ha diritto a poter essere circondato da cose, persone o animali che lo sostengono e lo fanno sentire bene
La sedazione palliativa è un approccio di cura mirato a gestire, ridurre o abolire la percezione della sofferenza dovuta a uno o più sintomi refrattari alla terapia: comporta la riduzione della vigilanza con mezzi farmacologici, anche fino alla perdita di coscienza, nel qual caso parliamo di sedazione palliativa profonda. La somministrazione di questo tipo di sedazione, che avviene tramite infusione continua di un farmaco in grado di ottenere una riduzione intenzionale della vigilanza, è praticata in accordo con il paziente da un medico anestesista. La persona viene addormentata fino all’eventuale perdita di coscienza, pur rimanendo in grado di respirare autonomamente.
La sedazione palliativa continua profonda non porta alla morte del paziente ma, nell’imminenza della morte, può accompagnare il paziente eliminandone i dolori.
L’eutanasia: è l’intervento medico che procura la morte di una persona consenziente, malata o menomata in modo permanente. A differenza dell’eutanasia, nel suicidio assistito il medico non compie in prima persona l’atto necessario per porre fine alla vita e alle sofferenze del malato. In questo caso, il medico si limita a fornire al paziente i mezzi utili a compiere questo gesto, senza intervenire direttamente.
Sia l’eutanasia che il suicidio medicalmente assistito, pertanto, non hanno nulla a che vedere con le cure palliative, ma spesso si fa molta confusione e si pensa che ne facciano parte.
Sono una sorta di “testamento” che, a seguito delle informazioni ricevute tramite il consenso informato, consente al cittadino in grado di intendere e di volere di definire “ora per allora” i trattamenti cui desidera essere o non essere sottoposto. Le DAT sono espressioni libere e volontarie che autocertificano la capacità di compiere una scelta libera e consapevole. Le proprie Disposizioni Anticipate di Trattamento possono essere redatte in vari modi: scritte a mano, al computer o registrate e sono modificabili in qualsiasi momento. Devono poi essere firmate davanti a un notaio o a un pubblico ufficiale dell’Ufficio di Stato Civile del Comune di residenza, e inserite nel fascicolo medico elettronico della Regione di appartenenza.
Le DAT sono regolate in Italia dalla legge n.219/2017.
Il consenso informato è la procedura con cui il paziente autorizza il medico ad avviare o proseguire un programma diagnostico-terapeutico. Trae fondamento dal diritto di ogni persona di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Per i minori, il consenso informato è espresso dai genitori o dai tutori, che sono legalmente responsabili della salute e delle scelte fino alla maggiore età del ragazzo. Nelle cure palliative pediatriche, viene di norma ascoltata e presa in considerazione anche la volontà espressa dal ragazzo, secondo le sue capacità.
Il consenso informato trova fondamento direttamente nei principi espressi dagli art. 2, 13 e 32 della Costituzione, ed è disciplinato dalla Legge 145/2001 e dall’art.1 della Legge 219/2017.